Una doverosa premessa: non fatevi spaventare dalla lunghezza di questo approfondimento che sovverte ogni principio di catalizzazione dell’attenzione, ma sul finire di un anno fortunatamente insolito ritengo utile andare a fondo riportando i dati per dare impronta alle analisi che faccio. Tuttavia l’articolo è suddiviso per paragrafi che, pur essendo legati tra di loro, possono altrettanto essere letti in modo indipendente.

Nel primo paragrafo troverete allora i numeri della crisi (mi occupo di misure economiche e non sanitarie, non essendo il mio ambito), nel secondo paragrafo vado invece a raccontare il contesto economico e politico attuale a livello internazionale, nel terzo faccio un punto sul nostro Paese, e nel paragrafo successivo analizzo i mercati e gli argomenti dei quali parlerò nei prossimi mesi/anni con i miei clienti.

Ora, viene da sorridere quando ripensiamo agli inizi di quest’anno, quando i talk show, i telegiornali e i social erano il teatro di dibattiti senza fine su Morgan e Bugo che a Sanremo avevano fatto discutere di sé oppure, più in là nel tempo, quando mezza Italia si divideva sui costi dei sacchetti per frutta e verdura nei supermercati, o ancora quando discutevamo di un allora premier Berlusconi che al G20 in Gran Bretagna dopo la foto di rito chiamava il Presidente degli Stati Uniti con un rumoroso “Mr. Obama”.

Senza mezze misure potremmo definire quest’anno come uno dei peggiori, se non il peggiore, degli ultimi decenni. Senza che nessuno ne sentisse la necessità abbiamo sperimentato la paura, il dolore, l’incertezza, la precarietà, l’unità prima e poi la divisione, la perdita di un caro, la malattia, la perdita del lavoro. Tutto ciò che fino a poco tempo prima catalizzava le nostre preoccupazioni è improvvisamente apparso come  un motivo sciocco per tenere occupata una mente forse non così carica di problemi.

Anche se ci attendono ancora momenti di difficoltà quest’anno sta fortunatamente giungendo al termine, e allora proviamo a fare il punto della situazione rispetto a ciò che a noi in questa sede interessa: l’economia e la finanza.

 

Qualche numero

Nel 2019 il PIL mondiale è stato pari a 87,8 trilioni di dollari. Di questa cifra i contributori principali sono stati gli Stati Uniti per un 24,42%, la Cina per un 16,34%, il Giappone per un 5,79% (fonte World Bank). In Europa i primi tre contributori sono stati Germania (4,38%), Francia (3,09%) e Italia (2,28%). Mettiamola così: se 100 è la produzione complessiva del mondo, 24 li hanno prodotti gli Stati Uniti, 16 la Cina, 6 il Giappone. Quasi la metà del PIL mondiale è fatta da questi tre Stati.

In questo 2020 il PIL mondiale sarà in contrazione del 4,4% secondo le proiezioni del FMI, con ben tre Paesi (uno dei quali è l’Italia con un PIL a -10,6%) che vedono un calo del PIL a doppia cifra, e un solo Paese con PIL positivo (la Cina con +1,9%). Se l’anno scorso ho prodotto cento, oggi sto producendo 95. Per chi avesse voglia di dare un’occhiata, riporto qua sotto la tabella estratta dal World Economic Outlook di ottobre redatta dal Fondo Monetario Internazionale.

 

Tabella 1: Overview of the World Economic Outlook Projections – IMF – Ottobre 2020

I dati del PIL dell’ultimo trimestre usciti qualche settimana fa sono incoraggianti, ma non fanno i conti con la nuova ondata del COVID, che ha costretto a nuove chiusure e getta nuova incertezza nello scenario macroeconomico.

Un altro dato che è sicuramente di nostro interesse è quello relativo al debito pubblico degli Stati, che ha visto un incremento smisurato dall’inizio dell’anno. I grafici che riporto di seguito danno chiara indicazione della dinamica del debito pubblico e dell’impatto sui bilanci degli Stati.

 

Grafico 1: Forecasts For General Government Gross Debt and Fiscal Balance – Fiscal Monitor – IMF – Ottobre 2020

Il debito è ad oggi cresciuto sul PIL del 20,8% per le economie avanzate che partivano da una base di debito sul PIL del 104,7% a gennaio, mentre in misura più contenuta ha inciso sul debito dei Paesi Emergenti (+5,9% con una base di partenza notevolmente più bassa, pari al 56,3% del debito sul PIL).

In ultimo il dato dei singoli principali Stati.

 

Tabella 2: Fiscal Monitor – IMF – Ottobre 2020

In quest’ultima tabella spicca il dato dell’Italia con un rapporto Debito/PIL previsto pari al 161,8% in marginale ma progressivo calo nelle proiezioni sino al 2025 (152,6%), con il secondo debito pubblico al mondo in proporzione al PIL (preceduto soltanto dal Giappone che dovrebbe chiudere questo 2020 con un rapporto debito/PIL pari al 266,2%).

Prendiamo l’Italia e semplifichiamola così: ho un prestito di 100 e guadagno 100. Ogni anno quel guadagno di 100 cresce di circa 0,5, ma di quel guadagno una parte la utilizzo per ripagare il mio prestito, ma al contempo spendo e faccio nuovi prestiti in misura maggiore. Quest’anno ho avuto un problema di salute che mi ha costretto a rivolgermi ad una clinica, e per pagare quella clinica ho dovuto fare un nuovo prestito di 25, che va a sommarsi agli altri che nel frattempo continuo a rinnovare e a non ripagare.

 

In quale contesto ci muoviamo oggi? Un accenno tra governi, politiche fiscali, politiche monetarie e vaccino.

Partiamo dalla fine: il vaccino. E’ di questi giorni la notizia dell’efficacia per oltre il 90% del vaccino sperimentato dall’americana Pfizer. All’annuncio dei dati di questa sperimentazione l’euforia ha preso la mano a mezzo mondo, ma in realtà ci sono diverse sperimentazioni che stanno dando esito positivo, quindi il grande rumor generato da questa notizia sembra debba essere ricercato altrove, non ultimo il cambio di paradigma che sembra approssimarsi per gli assetti globali a seguito della sconfitta di Trump alle elezioni presidenziali. La vittoria di Biden potrebbe essere fungere da apripista per la ricerca di una rinnovata centralità dell’alleanza atlantica.

Proprio questo punto è nodale per quanto riguarda le relazioni tra Stati e il commercio internazionale. Non è vero che Biden sarà morbido con la Cina, come erroneamente si pensa, ma è altrettanto vero che l’escalation di tensione maturata negli ultimi quattro anni apparirà con toni più sfumati.

Piuttosto importante è quindi una ripresa del dialogo, come ho scritto nell’approfondimento sulle elezioni americane, e l’assunzione di toni più moderati, del resto il problema della pandemia non può che accodarsi ad una pacatezza e collaborazione di fondo a tutti i livelli.

La politica di espansione fiscale sta esprimendo potenza di fuoco a livello globale, con evidente effetto sui debiti pubblici visti in precedenza, ma mentre tutti i governi sono concentrati nella gestione dell’emergenza, i più illuminati stanno cominciando ad impostare il lavoro per il post-pandemia, guardando ad investimenti con effetti nel medio e lungo termine.

Dal fronte politica monetaria è notizia di questi giorni l’annuncio da parte della Lagarde circa l’affiancamento continuo e costante da parte della BCE a supporto della ripresa. Non verranno meno quindi gli acquisti di titoli da parte delle Banche Centrali, che sono in supporto e piena espansione monetaria fino al permanere della situazione di crisi.

 

E l’Italia dove si trova? Il focus sul nuovo corso Europeo.

L’Italia pre-pandemica partiva strutturalmente in svantaggio a causa del suo ingente debito pubblico, che erode molte possibilità di spesa e impone una continua rincorsa. L’avanzo primario, ovvero la differenza tra entrate e uscite del bilancio statale prima del conteggio degli interessi, si collocava negli anni precedenti su livelli buoni, ma il debito pubblico costringeva a contrarre le spese per poter sostenere le spese per interessi al servizio di quello stesso debito.

Oggi il mondo è stato sovvertito, e l’Italia non fa eccezione. Il nostro Paese, nonostante il continuo osteggiare l’Unione Europea da parte di alcune parti politiche, gode di uno spread che sarebbe enormemente più alto se a sostenere il prezzo dei nostri BTP non intervenisse la BCE. Da ciò deduciamo che l’Europa è irrinunciabile, nonostante ci sia ancora chi sostiene che una sovranità monetaria ci consentirebbe di fare espansione fiscale senza creare danni collaterali. E’ cosa nota che in realtà il danno collaterale in quel caso sarebbe pagato dai cittadini in prima battuta attraverso un’inflazione esplosiva, e tutto ciò che ne conseguirebbe poi.

A prescindere dalle diatribe interne al nostro Paese, ciò che qua conta sottolineare è l’attenzione che dobbiamo riservare all’evoluzione dell’Unione Europea, e quest’anno di evoluzioni che andavano a neutralizzare alcuni (non tutti) difetti a monte del processo di costruzione europea ne abbiamo viste. La sensazione di fondo è che abbia assunto nuovamente preminenza la Commissione Europea a discapito del Consiglio Europeo (per dirla in modo grezzo, ha assunto importanza un organismo espressione dell’Europa a discapito di un organismo espressione dei singoli stati, e quindi degli interessi particolari). Non sbaglia chi afferma che quest’anno le protagoniste a livello europeo siano tre donne: Angela Merkel, Ursula von der Leyen e Christine Lagarde.

L’Italia ha innanzi a sé un’occasione unica, rappresentata dalla possibilità di non essere inchiodati al muro dalla mole enorme di debito della quale soffriamo ormai cronicamente da quarant’anni, e con esso la possibilità di attuare una serie di riforme che vadano ad incidere nel profondo della struttura statale, e possano fungere da traino all’economia del Paese e ad una crescita della produttività.

Chiudo questo paragrafo con l’ultimo dei grafici che scorrendo il World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale mi ha particolarmente impressionato.

 

Grafico 2: Fiscal Monitor – IMF – Ottobre 2020

Questo grafico mostra la percentuale di indebitamento pubblico e privato sul PIL nel 2020. La parte verde dell’istogramma è il debito pubblico (avendo il secondo debito pubblico sul PIL al mondo, la parte verde è la seconda più alta, superata soltanto dal Giappone). Quello sul quale tuttavia cade l’occhio è sì la grandezza complessiva dell’istogramma, ma soprattutto la composizione della massa totale di debito e il rapporto di quello privato su quello pubblico. Faccio il confronto con uno Stato che tutto può dirsi fuorchè liberista: la Francia. In Francia la quota di debito privato supera enormemente la quota del debito pubblico, addirittura più degli Stati Uniti. Per il nostro Paese invece la quota di debito pubblico sul complessivo di debito è tra i più alti tra i Paesi sviluppati. Le letture possibili che dò a questo dato sono tre (ma in realtà sono ben di più, che per “sensibilità” non riporto qua):

  • L’accesso al credito è estremamente complicato, ne scaturisce un problema strutturale;
  • Il debito pubblico si trasforma in ricchezza privata, ne scaturisce un diffuso malcontento, ma altrettanto la mancanza di reale volontà di cambiamento, perché alla fine tutti mangiamo da questa gigantesca torta che si chiama Stato (e spesso le fette più grandi sono riservate a chi meno ne ha bisogno);
  • C’è un profondo clima di sfiducia, che ci porta ad accantonare e a non investire nel nostro Paese, un cane che si morde la coda dove i cittadini non hanno fiducia nello Stato, e lo Stato che maldestramente tenta di iniettare fiducia finendo in realtà con lo sfibrarla.

 

Quali gli argomenti dei prossimi mesi e anni?

Di fronte a questa serie di enormi cambiamenti, involontariamente dettati dal COVID e dagli effetti della pandemia sull’economia, c’è da attendersi un cambiamento profondo, come ho più volte scritto nei precedenti approfondimenti. E’ questa l’unica via per uscire da un dramma cui sarà riservato un capitolo nei libri di storia dei nostri pro-nipoti.

E’ estremamente sottile il filo che divide il sentimento della speranza da quello della disperazione, perché entrambi gli stati d’animo si attivano nel momento della difficoltà. Ebbene, negli ultimi mesi, avendo volutamente spostato lo sguardo dalla polemica e dalla sfiducia in favore della speranza, ho visto atteggiamenti, comportamenti e orientamenti che non vedevo da anni, almeno per quel che la memoria mi può offrire. Ho visto un’Europa ritrovare un senso di unità, una Presidente di commissione estremamente sensibile alle ragioni dei singoli stati pur con una rafforzata visione unitaria. Tutto ciò che a livello politico si può fare lo si sta facendo, o quanto meno si sta provando a fare.
La Lagarde ha affermato che la BCE ci sarà almeno fino a quando il virus non avrà mollato la presa, e l’economia avrà ritrovato il proprio corso. In assenza di vincoli stringenti si può veramente operare una profonda revisione e riqualificazione della struttura amministrativa, politica, economica dei singoli Stati, e forse bisognerebbe mettere da parte le facili promesse in favore della serietà, cominciando dal mettere da parte polemiche e discorsi demagogici.

Sempre in tema di politica monetaria, i tassi di interesse rimarranno attorno allo zero o negativo per lungo tempo, a ciò si aggiunga l’acquisto di titoli di Stato. Dovremo tenere d’occhio questa sigla: TLTRO. Entro il 2021 la BCE metterà a disposizione tramite il canale bancario oltre 3 trilioni di Euro di rifinanziamenti a tassi negativi. Questo significa che la BCE presterà denaro alle banche perché a loro volta lo prestino secondo target predefiniti, ma ciò non basta perché oltre a prestare denaro pagherà un interesse. Immaginatela come il bonus del 110% che lo stato offre ai privati che facciano interventi di riqualificazione energetica sugli immobili di proprietà.

A livello di bilancio comunitario, le condizionalità dei prestiti legata agli investimenti per la green economy possono avere importanti effetti sul PIL, e questo sarà certamente un argomento principe per i prossimi anni perché tocca tutti i settori, dall’immobiliare all’energetico, dai trasposti alle infrastrutture, dalle modalità di lavoro allo sviluppo di nuove interazioni. Tuttavia la montagna di debito che stiamo producendo è lì, destinata a non scomparire nell’immediato. Credo allora tra le decisioni che potrebbero prospettarsi in futuro ci sia quella di una full debt monetization per una quota di stock di debito pubblico (qui volutamente non traduco e non spiego, sennò interviene l’azzardo morale).

Il petrolio avrà momenti in cui potrà fornire ritorni in termini di rendimento, ma sarà estremamente volatile e sarà un’asset class più marginale di quanto lo sia stata sino ad oggi. Come ho già scritto, non credo il processo di deglobalizzazione avrà vita lunga, perché la globalizzazione è nella natura del libero mercato, e il libero mercato è la via che naturalmente perseguiamo, volente o nolente. Probabilmente la globalizzazione sarà governata in misura maggiore di quanto lo sia stata fino ad oggi, ma non retrocederà.

Il settore tecnologico continuerà ad essere permeante, e sotto la spinta della progressiva implementazione del 5G prenderà progressivamente piede il cosiddetto internet of things. Il processo non si arresterà, ed è proprio notizia di questi giorni il lancio del primo satellite cinese per il 6G.

In sintesi, a guardarci intorno e dentro non abbiamo nessun motivo di rallegrarci, ma la speranza per il futuro non deve mancare perché le opportunità, se sapremo sfruttarle, saranno enormi

 

E i mercati finanziari come sono posizionati?

Per riassumere un anno di mercati finanziari. il FTSE MIB italiano perde a un anno l’11,23%, il DAX lo 0,27%, l’EUROSTOXX50 il 6,88%. Per contro il Dow Jones guadagna il 6,25% e il NASDAQ il 36,5%.

Sui mercati finanziari non è stato un anno terribile quanto lo è stato sul fronte sanitario, sociale ed economico. Sul mercato si sono vissuti mesi terribili, che hanno avuto il proprio culmine a metà marzo, ma l’anno dei mercati sta ora progressivamente normalizzandosi.

La quantità di denaro che sta affluendo e che continuerà ad affluire sotto forma di stimolo monetario o fiscale fungerà da stimolo alla ripresa e ad un forte rimbalzo, direttamente proporzionale alla riduzione dei contagi che avremo a seguito dell’introduzione del vaccino. Continuerà quindi quella correlazione tra volatilità dei mercati e progredire/regredire del virus, ma al contempo terranno banco le notizie che proverranno dal fronte politico. Le Banche Centrali e i Governi si muoveranno di pari passo.

Tra i numeri che ho citato ad inizio capitolo spicca il dato del Nasdaq, che si avvia a chiudere un anno estremamente positivo. Ricordiamo che il 2019 si è chiuso per questo indice con un +38%, e nel 2018, nonostante un -1% annuo, ha sovraperformato la totalità degli altri indici. Ricordiamo che esattamente 10 anni fa, a fine 2009, questo indice valeva attorno ai 1.900 punti, e oggi vale circa 11.800 punti, più di 5 volte tanto. Significa che ogni due anni ha mediamente raddoppiato il proprio valore, alla faccia dello scoppio della bolla internet di inizio anni 2000.

Ebbene, chi ascolta programmi che si occupano di finanza, avrà sentito in questi giorni parlare di rotazione settoriale: in questi giorni si sta assistendo ad un ritorno degli investimenti in settori “tradizionali”. Per spiegare questo concetto prendo a riferimento una misura dei fondamentali: il rapporto prezzo/utili (price/earning), che misura di fatto quanto alta o bassa sia la valutazione di un’azienda, quanto eventualmente bassi siano i suoi utili, quanto alcuni titoli siano preferibili ad altri. Traduco: il P/E misura quanti anni di utile siano necessari per raddoppiare l’investimento iniziale. Ovviamente è una misura che va abbinata ad altre, ma ci fornisce il polso immediato della valutazione di un titolo. Quando iniziai a lavorare ricordo che il corretto rapporto P/E era compreso tra 7 e 10, dopo 5 anni il fair value considerato auspicabile per le azioni era passato a 10/15, e ora si è ulteriormente ampliato.

Bene, prendiamo l’azione Apple: il suo rapporto prezzo/utili è oltre 36. Significa che il prezzo dell’azione è estremamente alto, e che agli utili attuali sono necessari 36 anni per raddoppiare il capitale. Prendiamo un’azione considerata “tradizionale”, l’italiana ENEL, che pure è cresciuta molto sul mercato: il suo rapporto prezzo/utili è attorno a 15, oltre la metà in meno rispetto ad Apple. Spostiamoci nuovamente in America e prendiamo un’azione del segmento finanziario, JP Morgan Chase, il cui rapporto prezzo/utile è 10,6: sono necessari 10,6 anni di utili ai livelli attuali per raddoppiare il capitale.

Per banalizzare quanto sta accadendo possiamo dire che questa settimana il mercato ha smesso di interrogarsi su quale piattaforma per lo smart working sia più profittevole, dal momento che tutti l’hanno già comprata. e ha cominciato ad anticipare il momento in cui metteremo nuovamente il naso fuori di casa non coperto da una mascherina. E quando il nostro viso non sarà coperto da una mascherina saremo impegnati a medicare le ferite lasciate dalla pandemia, ma al tempo stesso avremo una dotazione di strumenti (stimoli monetari, stimoli fiscali, evoluzione degli accordi sovranazionali) che lavoreranno anche sul nostro benessere complessivo. Warning: non significa che i mercati stiano abbandonando il settore tecnologico, significa che denaro fresco affluirà in misura importante su settori che sino ad oggi sono stati un po’ dimenticati.

Particolarmente interessante sarà osservare ciò che accadrà al settore bancario, con l’ampliamento degli stimoli monetari, tassi negativi per il TLTRO, possibilità di concessione di prestiti assistiti da garanzia statale, e con una struttura capitale estremamente più forte rispetto a 10 anni fa.

 

Conclusioni

Questo approfondimento è enormemente lungo, ma intende riassumere un anno intero e più, e tenta di gettare le basi per un’osservazione del futuro. Mentre i mercati finanziari operavano noi comuni cittadini abbiamo sperimentato una miriade di sentimenti negativi, dalla paura alla frustrazione. Tuttavia nel mezzo ci dobbiamo mettere la nostra innata capacità di autorigenerarci, e mai perdere la nostra attitudine a progettare il futuro. Come ho scritto poco sopra, nelle difficoltà è molto sottile il filo che divide la speranza dalla sfiducia. Alle volte pecco di ingenuità ma credo non di stoltezza, per primo vivo le enormi difficoltà connesse a questa situazione, ma senza troppo sforzo mi voglio collocare nella metà della speranza oltre il filo, e supportato da dati e fatti che molti non vogliono vedere, credo ci siano grandi possibilità innanzi a noi, sia che siamo normali cittadini, o che noi si sia piccoli e grandi investitori. E’ giunto il momento di cominciare a pensare dove collocare i circa 1.700 miliardi di liquidità che abbiamo accumulato, e guardare con fiducia ai mercati che sono a mio parere estremamente favorevoli.

 

Luca Giordani

 

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