Un paio di mesi fa cercavo un mortaio in granito o marmo per fare il pesto in casa. Li vidi tanti anni fa in Liguria, ma poi non li ho più cercati. Dal momento che mi era venuto quel pallino, e non credo fosse così semplice trovarne uno nelle vicinanze ad un prezzo decente, ho cercato su Amazon, letto le recensioni e fatto l’acquisto. È arrivato a casa in un paio di giorni un magnifico mortaio, prodotto in Cina e distribuito da un’azienda britannica. E’ la fine della globalizzazione? No, la globalizzazione è viva e gode di ottima salute. Ma mentre vi interrogate sul significato della foto associata a questo approfondimento (che svelerò più avanti) io chiedo: cos’è la globalizzazione?

“La globalizzazione è stata variamente concepita come una azione a distanza, secondo la quale gli atti posti in essere da soggetti sociali in un ambito locale vengono ad assumere conseguenze significative per soggetti lontani; una compressione spazio-temporale, con riferimento al modo in cui la comunicazione elettronica erode, con la sua istantaneità, i limiti della distanza e del tempo nelle interazioni e nelle organizzazioni sociali; un’accelerazione dell’interdipendenza, intendendo con questa una intensificazione dei livelli di interconnessione tra economie e società nazionali, cosicché eventi che hanno luogo in un paese hanno un impatto diretto anche sugli altri; infine una contrazione del mondo, cioè l’erosione dei confini e delle frontiere geografiche per effetto delle attività socio economiche” [Held, McGrew 2000]

Questa definizione è di ormai vent’anni fa, quando il dibattito tra globalisti e antiglobalisti era erroneamente confuso con la diatriba tra liberisti e sinistra radicale.

Nel frattempo l’evoluzione delle cose ha fatto sì che al di là delle differenze ideologiche il mondo assumesse una interconnessione sempre più fitta, con un naturale posizionamento di aziende e consumatori che porta oggi ad un globo estremamente diverso. Le ragioni degli antiglobalisti sono diventate in molti casi quelle dei cosiddetti sovranisti, con una fusione, un interscambio e una osmosi ideologica tra categorie politiche una volta agli antipodi. La politica stessa non è riuscita ad agganciare nel modo corretto questa rapida evoluzione in senso globale del mondo. L’ONU ha perso sempre più influenza, gli Stati nazionali si sono ritrovati a gestire le proprie economie secondo una logica di mercato, per le quali non sempre erano preparate. L’efficienza dei processi produttivi, della catena di distribuzione è diventata determinante, e gli Stati che non hanno saputo fungere nel modo corretto da regolatori hanno visto il moltiplicarsi di cause del fallimento del mercato, nell’accezione microeconomica del termine, nonché di oligopoli che non hanno consentito un corretto sviluppo della concorrenza e dell’economia

La globalizzazione ad oggi prosegue, disturbata soltanto dai leader sovranisti che con goffi tentativi ricercano il consenso attuando politiche protezionistiche, dazi, rimpatri delle produzioni. Il disturbo arrecato da taluni leader politici è tuttavia destinato ad esaurirsi in un paio di cicli elettorali, perché la globalizzazione è un processo ineluttabile ed inarrestabile.

Della portata della globalizzazione ce ne siamo accorti con la pandemia di COVID 19, proprio mentre tutti eravamo impegnati ad osteggiarla. Tutti noi abbiamo in mano gli oggetti della globalizzazione: lo smartphone o il tablet che ci consentono di effettuare una videoconferenza con una città distante centinaia o migliaia di chilometri, o di effettuare un acquisto quando siamo impossibilitati ad andare in negozio. La globalizzazione è nella scarpa che portiamo, la cui suola è “Made in P.R.C”, nelle microcomponenti dei led. E tutto ciò che viene dalla globalizzazione costa incredibilmente poco: non possiamo dirci contrari alla globalizzazione, perché tutti noi cerchiamo i prodotti con il miglior rapporto qualità prezzo. Anche se ormai non è più vero, la componente qualità è ideata in occidente, ma la componente prezzo è realizzata in Paesi in via di sviluppo.

La globalizzazione passa dal piccolo al grande quando assistiamo alle grandi fusioni tra gruppi finanziari ed industriali: per sopravvivere al mercato dei tassi bassi, le banche cercano un contenimento dei costi nelle acquisizioni, per mantenere le quote di mercato i produttori di automobili si stanno riorganizzando in pochi player a livello globale. Persino la questione sicurezza diviene un discorso di globalizzazione e finanza, si veda la questione relativa all’acquisizione di Tik Tok da parte di Microsoft o di Oracle (entrambe naufragate) che tiene banco questi giorni.

Anche se mi piacerebbe, non è mia intenzione fare della filosofia nei miei approfondimenti. Ritengo tuttavia non si possa prescindere da una valutazione a più ampio spettro del mondo nel quale viviamo, ma giungere invece a conclusioni credibili da applicare poi ai processi di investimento. Ad oggi ciò che risalta nei quotidiani o nelle TV è appunto il cosiddetto sovranismo, ma come detto prima, ciò potrebbe con ogni probabilità concludersi in un paio di cicli politici, forse addirittura uno, perché nel frattempo le esigenze non espresse che provengono dal basso, e che sono auspicabili per pensare di mantenere in vita l’economia degli Stati Nazionali, vanno nella direzione di una ulteriore collaborazione e interconnessione tra Stati, economie, istituzioni sovranazionali.

Cosa ci attende allora? Ci attende un’Europa che sarà con ogni probabilità federazione di Stati, gli Stati Uniti che perderanno il dominio dell’economia mondiale, e per mantenere viva l’economia la diplomazia internazionale si adeguerà alla velocità della globalizzazione, pur non raggiungendola mai. Le Banche Centrali dovranno trovare una via di collaborazione per scremare degli effetti valutari i fenomeni inflattivi e le dinamiche commerciali. I tassi permarranno bassi a lungo, il tema dei grandi gruppi finanziari sarà predominante, e i settori si fonderanno tra di loro. Amazon sarà anche banca, forse acquisendo istituti di credito, così come sarà piattaforma TV. La moneta fisica sarà sempre meno importante. Lo stock di debito pubblico e privato sarà tanto elevato da rischiare di perderne in credibilità e affidabilità, al punto che l’attenzione degli investitori si sposterà sui titoli di capitale. Accanto al grande della finanza sarà sviluppata la microfinanza. La sopravvivenza delle piccole aziende innovative sarà garantita dalle acquisizioni da parte di grandi gruppi. Il sociale paradossalmente sarà estremamente importante, perché lo sviluppo tecnologico e della ricerca determinerà da una parte invecchiamento della popolazione, incremento demografico, eccesso di offerta di lavoro rispetto alla domanda. Al pari l’ambiente continuerà con sempre più preponderanza ad essere un tema centrale.

La finanza è per un certo verso spietata, ma anche su questo arriva prima, perché è pur vero che la globalizzazione non sta tramontando, ma è altrettanto vero che muterà di aspetto. La foto associata a questo approfondimento nasce proprio dalla consapevolezza di questo mutamento: a quello che potrebbe apparire come un tramonto della globalizzazione si affiancano i fiori di ciliegio di una consapevolezza emergente che nel tempo muteranno in frutto al rinascere del sole. È ormai frequente sentire parlare di fondi SRI (Sustainable and Responsible Investment), ed ESG (Environmental, Social and Governance). Non si tratta di fondi puramente etici, ma di fondi che come criterio di selezione degli investimenti incorporano elementi di sostenibilità perché forte è la coscienza che la profittabilità sarà nell’immediato futuro più elevata in questa parte di investimenti. Per parte propria anche la professione del consulente finanziario non potrà prescindere da criteri di profonda preparazione teorica, partendo dal presupposto che il mondo è estremamente interconnesso e che le esigenze degli investitori saranno sempre più raffinate. Probabilmente in anticipo rispetto ai tempi, ritengo fondamentale assegnare fin da subito alla mia attività di consulenza finanziaria un’impronta di questo tipo.

 

Luca Giordani

 

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