Le borse sono in preda alla volatilità. Volatilità non significa necessariamente calo di borsa, ma ampiezza delle oscillazioni. Questo accade al solito in momenti di turbolenza finanziaria dettata da notizie di ordine economico, politico, finanziario, industriale, dati macroeconomici. Più saltuariamente, come in questi giorni, da emergenze sanitarie.

Quello che accade è inedito, e ritengo che quello che ne uscirà alla fine dell’emergenza avrà un impatto indelebile e cambierà molte cose, delle quali nell’immediato forse non ci accorgeremo, ma che avranno uno strascico ove non un ribaltamento nel medio/lungo termine.

La borsa valuta le aziende in base alla loro capacità di generare utili oggi e domani. Quanta riduzione degli utili è già stata scontata nei prezzi di borsa alla data attuale? Bisogna fare qualche conto. È chiaro che nel caos bisogna poi dare spazio al pensiero creativo – mantenendo una sana dose di realismo – ed immaginarsi tra uno, tre, cinque, dieci anni.

Una mano ce la può fornire la tanto criticata conferenza stampa di Christine Lagarde. Ascoltandola la prima impressione che ho avuto è stata quella di una che non aveva idea di dove fosse seduta, e dell’impatto che le sue parole avessero o potessero avere. Mario Draghi era uomo di finanza ed economia, la Lagarde no. 

Ma volendo provare ad andare oltre, ciò che ho tentato di leggere non è stato tanto lo svarione sullo spread, quanto il fatto che la politica monetaria è essenziale per un’area economica comune, ma è nulla in assenza di un coordinamento politico. Ebbene, credo che oggi sia l’occasione unica per decidere cosa l’Europa voglia fare da grande: vuole rimanere appannaggio di interessi nazionali o vuole avere una visione unitaria? Nota bene, non scrivo ciò per giustificare una deresponsabilizzazione dei Paesi più deboli e con più alto debito, ma per auspicare che si comprenda che l’interesse dei Paesi più forti non possa prescindere dalla salute dell’economia dei Paesi più in difficoltà. I Paesi più deboli portano la colpa di non aver rivisto il proprio modello ed aver attuato un numero insufficiente di riforme, i Paesi più forti di aver approfittato del contesto.

Il primo esempio che mi viene in mente di spirito non europeo giunge a mio avviso dalla Francia, che nelle parole di Macron vuole un’Europa forte, ma sui cantieri di Saint Nazaire ostacola di fatto le nozze con l’italiana Fincantieri. Stesso discorso sull’accordo di fusione tra Renault ed FCA. 

Ora, per tornare alla situazione attuale, è chiaro che o oggi si fa l’Europa oppure tutto ciò che si è tentato di costruire sino ad oggi non ha più senso.

Con una buona dose di speranza, e forse di ingenuità, voglio pensare che il discorso della Lagarde volesse andare in questa direzione.

Non dimentichiamo che dalla precedente crisi a livello europeo, quella del debito sovrano, pur con non poche difficoltà e tempi estremamente dilatati, è stato creato l’ESM (il Meccanismo Europeo di Stabilità). Oggi credo, allo stesso modo in cui accadde allora, che qualche passo in avanti non possa che verificarsi (in questo caso non è sufficiente un passo, ma un salto in alto e in lungo). L’alternativa non esiste. Mi pare di leggere nell’atteggiamento dell’intera politica Europea una presa di posizione in tal senso, soltanto il tempo ci darà modo di vedere poi cosa realmente accadrà.

 

Luca Giordani

 

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