Ho pensato a questo articolo guardando il mio smartphone. L’ho pensato guardando la quantità di notifiche sulla App delle email, e sulle altre App. Quantità di informazioni, il più delle volte inutili, che per pigrizia si finisce con l’ignorare, trascurando il fatto che all’interno di quelle mail arrivate possa essercene una importante o che, soprattutto, lo spazio di memoria occupato dalle email inutili sottragga spazio alle email importanti.

Mi è capitato di frequente di esaminare portafogli con al proprio interno investimenti “decotti”, in pesante perdita da più anni, per i quali non ci si prende l’impegno di operare una riqualificazione per una semplice ragione: la pigrizia. Le giustificazioni che ci diamo sono nell’ordine: prima o poi recupereranno, tanto mi danno una cedola, le ho da tanti anni, non voglio vendere in perdita, ho sempre avuto il conto in quella banca, non saprei dove reinvestire, e altre ancora.

E’ su quest’ultima giustificazione che mi voglio concentrare in particolare: “non saprei dove reinvestire”. E’ un po’ come dire che ho una maglia rotta e non la voglio cambiare perché non saprei quale comprare.

Ipotizziamo che nel 2010 il consulente titoli della banca ci abbia consigliato di comprare 10.000 Euro di Telecom Italia (ma potrei dire ENI, Saipem, Unicredit, ecc), titolo che da dieci anni a questa parte, nonostante si tratti più o meno di un “tecnologico”, ha visto di rado il guadagno da quando è stato comprato, e oggi vale il 60% in meno, quindi meno di 4.000 Euro.

A parte le considerazioni sui fondamentali e le prospettive di sviluppo, sulla carta quel titolo, dopo cinque anni di ribassi, nel 2015 ha rialzato la testa per una brevissima parentesi. In quel momento si sono innescate le speranze che hanno cancellato cinque anni di segno meno, e invece che vendere in frequenti casi si è pensato che fosse partito il rialzo di cui gli auspici del momento dell’acquisto, e li si è mantenuti in portafoglio, arrivando per l’appunto ad oggi, con una pesante perdita. Con oltre seimila Euro avrei potuto comprare metà di una utilitaria per la figlia neopatentata, ma silentemente abbiamo metabolizzato quella perdita.

Pensiamo invece il caso opposto: se invece che mantenere quel titolo che per i primi cinque anni ci ha regalato solo perdite avessimo preso in mano la situazione e deciso di “ravvivare” l’investimento, cosa sarebbe successo? Con il senno di poi è sempre facile, per questo cerco di attivare il senno del prima, ma ipotizziamo di aver venduto ad inizio 2015 le Telecom a circa 1,10 (ricordo che oggi valgono 0,338) per acquistare un altro titolo del listino italiano: ENEL. I diecimila Euro sarebbero stati 11.000 (e tolta la tassazione circa 10.700). ENEL in quel momento valeva circa 4,1, quindi sarei riuscito a comprare 2.600 azioni. Oggi l’azione vale 7,33 che, moltiplicato per 2.600, significa un montante finale lordo del mio investimento pari a 19.058, che netto diventa circa 16.800 Euro. Ho comprato l’intera utilitaria per mia figlia neopatentata.

Il confronto è semplice: aver mantenuto le azioni Telecom mi lascia in tasca meno di 4.000 Euro, aver riqualificato il mio investimento mi porta ad avere oggi 16.800 Euro.

Ora, questo è un esempio banale e superficiale, ma dimenticarsi di un investimento che va male è come volersi dimenticare di una cosa brutta: occhio non vede, cuore non duole, e rischiamo di non prendere in mano la situazione. Non decidere è una scelta.

Quando non zeppi di BTP (attenzione, perché il discorso sui titoli di Stato è scivoloso, e se avete visto i BTP salire credo con i tassi così bassi e gli spread così stretti abbiano oggi incontrato il soffitto) i portafogli che analizzo sono spesso pieni di fondi obbligazionari a cedola, tipicamente a marchio della società di gestione della banca che ci ha collocato quel fondo (si fa tutto in casa). Quei fondi obbligazionari, tra commissioni di gestione e tassi irrisori, sono il più delle volte in perdita, e se anche ci staccano una cedola alla fine dell’operazione, quando quei fondi si saranno trasformati in un monetario, ci ridaranno indietro il denaro che ci abbiamo messo dentro 5-7-10 anni prima, o forse qualcosa in meno. Una riqualificazione di questi portafogli, distribuendo un unico fondo su più strumenti, oltre che attuare una strategia di diversificazione permetterebbe di ottenere un guadagno sul mio investimento, oltre ogni pigrizia e oltre ogni affezione ad un marchio bancario che oggi nella maggioranza dei casi nemmeno esiste più.

La pigrizia salvo rare eccezioni non paga quasi mai, alla stessa maniera la paura o il non voler vendere in perdita semplicemente sperando che i titoli risalgano. Prendiamoci il tempo di riflettere su queste cose, e se la pigrizia ci assale guardiamo al di fuori dell’abitudine: invece che lasciare che qualcuno decida per noi, confrontiamoci con un professionista alla ricerca di soluzioni.

 

Luca Giordani

 

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