Se non vuoi che l’occhio e i sensi tuoi si intorpidiscano

corri pure dietro al sole, ma stando all’ombra

F. W. Nietzsche

 

L’umanità ha vissuto un’epoca, quella degli ultimi anni settanta e degli anni ottanta che, sebbene spesso fosse esaltazione del nulla, ha comunque rappresentato un passaggio storico, che ha oggi assunto anche un significato culturale. In quegli anni si è prodotta alcuna della musica tra la più insignificante mai scritta, la moda e le acconciature erano inguardabili, l’arte era un rifiuto usa e getta. Mi sono però trovato negli ultimi tempi a riscoprire e anche apprezzare quello che è uscito da quegli anni, e per una ragione: rispecchia esattamente la società di quell’epoca, e dopo che il punk aveva rappresentato il nichilismo autodistruttivo, in questi anni è nato una sorta di nichilismo produtttivo.

Perché una premessa simile? Perché in quegli anni la finanza era il sogno della ricchezza facile, quindi il sogno del nulla. Basta guardare il film di Oliver Stone per capire che la ricchezza stava diventando a Wall Street il simbolo non del sacrificio, ma dell’edonismo allo stato puro. Tuttavia in quel film, che invito chiunque a vedere, si ha la perfetta percezione di come funzionasse la finanza: in un mercato inefficiente, colmo di asimmetrie informative, era facile diventare finanzieri. L’Italia non ha fatto eccezione: quante persone hanno comprato le Olivetti? Quante hanno giocato con il FIB guardando il monitor della banca con quella specie di televideo?

Per un certo verso tante cose sono cambiate, altre sono rimaste identiche in forma amplificata. La rapidità delle transazioni finanziarie ha accorciato notevolmente l’orizzonte temporale di investimento, lasciando l’illusoria speranza di diventare ricchi con la finanza, mentre in realtà la maggiore efficienza del mercato, ma l’altrettanta presenza di alternative storture, ha contratto notevolmente i margini e amplificato il numero di scambi necessari a realizzare utili.

Se in buona sostanza negli anni ’80 era anche possibile diventare ricchi con la Borsa, oggi questa possibilità si è notevolmente ridimensionata, ed è quanto mai opportuno correre dietro al sole, ma stando all’ombra. E’ oggi necessario essere pragmatici, ragionevoli, analitici e concreti, non inseguendo una falsa speranza. Quando oggi investiamo abbiamo la certezza statistica che il nostro patrimonio crescerà, ma la statistica è efficace soprattutto se ci mettiamo nelle mani dei numeri e non delle congetture, e se di conseguenza ci affidiamo agli orizzonti temporali più estesi e non alle speranze di breve periodo.

Nasce da qui il paradosso della prevedibilità su cui rifletto da qualche giorno a questa parte: ragionavo sul fatto che ad oggi siamo in grado di prevedere fatti ed eventi di portata enorme e con strascichi importanti che si verificheranno molto in là nel tempo, mentre siamo meno capaci di prevedere eventi dalla dimensione più limitata e più vicini nel tempo. Sappiamo che a partire dal 2050 la popolazione mondiale sarà prossima ai 10 miliardi di persone (circa tre miliardi in più di quanto siamo oggi), e sappiamo che la temperatura terrestre sarà più alta di tre gradi rispetto l’attuale. Allo stesso modo sappiamo che la speranza di vita sarà più alta, e che con ogni probabilità l’asse di rotazione della ricchezza globale guarderà a Paesi che ora hanno una ricchezza pro capite più bassa rispetto alla nostra.

Il paradosso della prevedibilità ci dà alcuni spunti di riflessione importanti sui quali ragionare.

In primis il nostro approccio agli investimenti. Il COVID ci ha insegnato che non dobbiamo dare per scontato che il rischio sia un concetto astratto, anche e soprattutto nel breve periodo, perché sappiamo bene che più alta è l’aspettativa di rendimento, più corto il nostro orizzonte temporale, più gli imprevisti avranno un peso drastico sulle nostre scelte. La gestione della liquidità e degli strumenti che non cercano un rendimento smisuratamente sopra il benchmark è fondamentale per non trovarsi al punto di dover operare scelte di emergenza che si lasceranno dietro pesanti perdite.

In secondo luogo il paradosso della prevedibilità serve ad impostare il nostro atteggiamento mentale rispetto gli investimenti. Il sogno di ricchezza che derivi dal trading è svanito dopo periodi gloriosi ormai vent’anni, fa con la bolla dell’Hi-Tech, quando ha lasciato spazio ad un’altra bolla: quella del sogno del denaro in prestito facile. Il denaro facile non esiste, né in un senso né nell’altro. Gli investimenti devono  essere approcciati con un metodo sistematico, pragmatico, razionale. Solo in questo modo il nostro capitale potrà crescere.

Un terzo spunto che deriva dal paradosso della prevedibilità è quello per cui gli eventi che riteniamo prevedibili sono tali perché frutto di un approccio scientifico di studio e analisi. In pratica è di più facile previsione tutto ciò che non scaturisce dalla pancia, ma dal cervello. La componente emotiva, sia nelle scelte ex ante, sia nel mantenimento dell’atteggiamento ex post, è una parte del mosaico essenziale negli investimenti.

Il quarto spunto che ci offre il paradosso della prevedibilità è quello di focalizzare l’attenzione su quelli che sono i temi reali del futuro, lasciando da parte la schizofrenia delle notizie, delle mode, dei mass media (e quindi degli eventi quotidiani). Un esempio su tutti è la febbre da Bitcoin di quattro anni fa: il bitcoin ha forse arricchito qualcuno, ma chi ha seguito la moda ha rischiato enormemente, o forse si è addirittura scottato. Il Bitcoin probabilmente tornerà con preponderanza a far parlare di sé, allo stesso modo in cui il tech è tornato in auge (ma reggendosi sui fondamentali) un decennio dopo la bolla, ma nel frattempo la febbre è passata, e ha lasciato qualche morto dietro di sé. Nel frattempo il valore sta nel concentrarsi sui temi fondamentali, non facendosi influenzare da mode passeggere.

Per riassumere, il paradosso della prevedibilità ci dice che non esistono scorciatoie, non esiste la finanza che arricchisce, che l’approccio fai da te si rivela molto spesso fallimentare, che il breve termine fa rima con rischio, che dobbiamo mettere nero su bianco obiettivi e strumenti, che l’approccio “scientifico”, trasparente e professionale è l’alternativa da privilegiare.

Luca Giordani

 

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