Mi ha sempre affascinato la teoria, quindi sì, la teoria economica è ancora attuale, anche perché la teoria economica, come tutte le scienze umane e sociali, anticipa o segue i tempi nei quali esiste. La domanda del titolo in realtà è scaturita nel momento in cui ho letto uno scambio tra economisti: quel dibattito riguardava la celebre curva di Phillips. Ed ecco ciò che si trova nei libri di macroeconomia:

Ok ok, questa è la cosiddetta Curva di Phillips accelerata… e ok, abbandoniamo la matematica!

Traducendo la formula, la curva di Phillips mette in relazione l’inflazione con la disoccupazione. Tra queste due misure esisterebbe una relazione inversa: meno disoccupazione, più inflazione, e per contro, più disoccupazione uguale a meno inflazione. La curva di Phillips accelerata, poi, aggiunge un elemento: il tasso di inflazione attuale dipende in maniera positiva dal tasso di inflazione del periodo precedente. Ne deriva che per periodi di inflazione elevata ci sia da attendersi un aumento dei prezzi quanto meno uguale anche per il periodo di osservazione successivo, e che l’eventuale calo dei prezzi non possa che dipendere dall’aumento della disoccupazione, e quindi da una contrazione dell’economia.

Ora, cosa c’entra la teoria con la realtà attuale, e soprattutto, perché gli economisti si trovano oggi a dibattere attorno alla curva di Phillips? I più attenti si saranno accorti di come l’inflazione dell’ultimo anno segua un periodo di grande vigore per l’economia, successivo alle riaperture post pandemiche, e quindi ad un forte aumento della domanda e ad un altrettanto forte riduzione della disoccupazione (discorso vero in particolare per l’economia americana). La guerra in Ucraina è parte di questo aumento dei prezzi, ma non è il solo. E il dibattito tra economisti si sviluppa attorno alla curva di Phillips per arrivare a capire quanto le Banche Centrali, in particolare la FED, siano (state) efficienti, e soprattutto quanto siano indipendenti rispetto al potere politico, essendo le determinanti di questa formulazione teorica tenute in grande considerazione proprio dalle banche centrali.

Per quanto il cliché voglia una banca centrale indipendente, in realtà gli istituti centrali non sono concretamente indipendenti dal potere politico, e in realtà nemmeno possono esserlo. In assenza assoluta dal potere politico, infatti, i programmi di Quantitative Easing promossi nell’ultimo decennio non avrebbero assunto stesso valore. Non è certo un segreto che il debito pubblico acquistato dalle Banche Centrali abbia alleggerito gli Stati dal gravame di interessi alti (ove non di attacchi speculativi), e li abbia quindi coadiuvati nei propri programmi politici. Va detto che il livello di indipendenza è comunque funzione diretta di una politica efficiente e capace, e questo lo sappiamo bene noi italiani, quando vengono sollecitate a più riprese le riforme. Però a livello teorico, e mi sento di dire anche pratico, l’eccessiva commistione tra potere politico e Banche Centrali finirebbe con il causare cumuli ancor più elevati di inflazione (è sufficiente osservare quanto è avvenuto in Turchia, dove si sono avvicendati tre governatori in poco più di due anni). E’ per questa ragione che le Banche Centrali dovrebbero ragionare con la propria “testa”, cosa che pare essere avvenuta solo parzialmente se consideriamo l’enorme ritardo con il quale la Fed è intervenuta con una restrizione monetaria per contenere l’inflazione.

Per riassumere, quindi, abbiamo rincorso per anni un’inflazione che sembrava non dovesse più palesarsi, e quando si è presentata abbiamo deciso di farvi un bagno bello lungo, sin quasi ad annegarci. La temporaneità dell’inflazione è stata ribadita più volte, proprio un anno fa e, complice la guerra, l’errore di valutazione è stato fatale. Oggi ci troviamo con una FED che sta cercando di rassicurare i mercati sottolineando come il rialzo dei tassi e la restrizione monetaria proseguirà fintanto che l’inflazione si sarà stabilizzata con certezza, e la BCE segue a ruota.

Ma saranno efficaci queste politiche? E’ ovvio che la situazione rimane delicata, perché si sommano diversi elementi, alcuni dei quali in conflitto tra loro:

  • Alto indebitamento degli Stati
  • Inflazione alta (appunto)
  • Domanda che rischia di contrarsi con la riduzione della spesa pubblica
  • Potenziale recessione
  • Conflitto Ucraina – Russia
  • Disordini sociali

L’acquisto dei titoli di debito pubblico si è chiuso (anche se in realtà le Banche Centrali stanno procedendo con il reinvestimento dei titoli in scadenza). Ciò non ha causato eccessivi scossoni, e questo soft landing è probabilmente da attribuirsi al surclassamento del tema “inflazione”. Questo significa ovviamente più difficoltà nell’emettere debito, anche in ragione dell’aumento dei tassi operato dalle Banche Centrali. E’ ovvio che, come scritto all’inizio, per ridurre un’inflazione tanto alta sarà necessario attraversare un periodo di contrazione economica. L’inflazione si ridurrà quindi in ragione di un calo della domanda, e per conseguenza di un aumento dell’inflazione, con l’auspicio che la situazione del conflitto vada risolvendosi (in primis per i morti civili).

A livello Europeo le politiche monetarie rischiano di essere meno efficaci, in quanto l’inflazione è determinata in larga parte dal costo delle materie prime, in particolare gli energetici. Se il prezzo delle materie prime è quindi determinato al di fuori dell’area Euro, è ovvio che le politiche monetarie avranno più difficoltà a raggiungere i target prefissati. Pur con gravi errori, non credo sia un caso la restrizione monetaria in Europa sia più “indietro” rispetto a quanto avviene a livello di FED, e credo in questo momento sia volta in particolare a tenere a freno la corsa del dollaro, e quindi indirettamente il tasso di inflazione, essendo le materie prime scambiate proprio in dollari. Gli investimenti soffrono dall’inizio dell’anno, ed è probabile la volatilità sul fronte azionario terrà banco ancora per un po’, mentre sul fronte obbligazionario la “sgrassatura” è già avvenuta per larga parte.

Per concludere, la nostra Curva di Phillips ha quindi ancora valore? La risposta è sì, ma dovrà assumere valore come elemento “positivo”, di osservazione della realtà, e non strettamente “normativo”, in quanto il rischio è quello che ad ogni mossa sbagliata da parte delle Banche Centrali possano seguirne danni pesanti.

 

Luca Giordani

 

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